Al confine tra Kenya e Tanzania vive un popolo antico che ha portato nella storia contemporanea tutte le tradizioni del suo passato.
I Masai sono una popolazione africana affine, per caratteristiche antropologiche, agli etiopi, ma del tutto singolari nella loro incredibile integrazione con il mondo moderno.
Sono in genere molto alti, con lunghe gambe e braccia, lineamenti fini, fisici sottili e abituati a percorrere grandi distanze a piedi. Sono considerati nomadi o semi-nomadi, ma in realtà sono dei pastori transumanti, che si spostano per seguire i pascoli: oggi giorno, in realtà, molti di loro sono addirittura stanziali (spesso a causa di restrizioni territoriali dovute alla gestione dei confini da parte dei governi) e vivono con i loro capi di bestiame nello stesso luogo per tutta la vita o quasi.
La loro lingua è il maa, dalla quale deriva il nome della popolazione, pronunciata in lingua originale Maasai.
Sono attualmente divisi in 12 clan principali, ai quali si affiancano alcuni clan minori.
I Maasai sono organizzati in gruppi di età maschili: non hanno un capo, ma ogni gruppo fa riferimento ad una guida spirituale, un anziano chiamato Laibon.
I bambini vengono educati a diventare guerrieri, anche se nella vita di tutti i giorni sono soprattutto allevatori: come tali, però, devono imparare a difendere il bestiame dagli attacchi dei predatori.
L’avvento di molti missionari europei nel territorio africano ha veicolato, in molti clan, la fede cristiana. Non è raro, infatti, che i giovani Maasai abbiano due nomi, il primo in lingua maa e il secondo legato alle scritture contenute nella Bibbia.
Per tradizione, tuttavia, la religione Maasai è legata a una profonda spiritualità che affonda le proprie radici in un dio immanente in ogni cosa, che può manifestarsi in modo benevolo oppure malevolo.
La loro alimentazione si basa sulla carne, sul latte e sul sangue dei loro capi di bestiame.
Integrazioni sono costituite da miele e tuberi.
Il contatto con le popolazioni “moderne” ha introdotto nella loro dieta i carboidrati attraverso la farina di mais, con la quale producono una sorta di polenta (Ugali) che permette loro di superare i periodi più duri, in caso di scarsità di bestiame.
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